domenica 23 gennaio 2011

Jeff Santini - #1 - Ferragosto da brivido

New York - 15 Agosto 1930

Nell'ufficio del capo non girava un filo d'aria. Bastava mettere un ventilatore, e invece niente. Come se una mezza finestra aperta sul casino della West 43rd Street fosse sufficiente a dissipare l'afa del mezzogiorno. Jeffrey stava dando una veloce occhiata ai rapporti appena ricevuti, incollato a una poltrona di pelle, davanti a una grande scrivania in mogano. Dall'altra parte stava il suo caporedattore.
I rapporti parlavano dei Maranzano. Un paio di arresti e una dozzina di fotografie, insieme a qualche appunto sparso. Poca roba.


"Non è molto, Jeff... Ma questa idea non parte da me."
"Mmm"
"Arriva dritta dall'alto. Fosse per me..."
Jeffrey sfogliava dubbioso il dossier, con la testa piegata a sinistra, come faceva sempre quando non gli tornava qualcosa. Con il mestiere che faceva, c'era da farsi venire il torcicollo.
"Non lo so Ben... Cosa vuole esattamente il grande capo?"
"Una ripassatina, niente di più."
"Niente di più..." Mormorò Jeff, richiudendo la cartelletta.
Tra tutti i giornalisti del Times, Jeffrey Santini era sicuramente il più ricattabile. In un servizio passato aveva tirato in mezzo troppa gente troppo in alto e questi reagirono come sanno fare loro. La testata si beccò una manciata di querele per diffamazione e il suo caporedattore, Benjamin Perkins, per poco non perse il posto. Inutile dire che Jeffrey fu segato su due piedi. Lo buttarono fuori il giorno dopo la denuncia. Si ritrovò a fare il freelance, versando inchiostro per chi pagava di più.
All'inizio gli sembrò una bella svolta. Non aveva orari, né gente sopra di lui a dirgli cosa e come fare. I contatti che si era guadagnato gli bastavano per mettere in piedi i servizi e venderli alle testate. Si sentiva un po' un mercenario dell'informazione. Uno scribacchino randagio, assolutamente libero. Aveva un che di romantico addosso e, sotto tutti questi punti di vista, anche l'affitto a fine mese sembrava più leggero.
Non aveva più le spalle coperte dal New York Times, ma restava pur sempre un giornalista investigativo. E l'arte del ficcare il naso negli affari degli altri, ancora meglio se molto redditizi e non del tutto legali, non si perde da un giorno all'altro. Per Jeff, poi, era un talento naturale.
Un suo informatore lo mise su una pista sicura. Una partita di alcolici. Tutta roba di Joe Masseria, uno dei capi della Cosa Nostra Americana. L'idea era di passare la soffiata ai federali e tirare giù un bel pezzo in anteprima. Una battitura del genere poteva fruttargli dieci volte tanto il prezzo che chiedeva di solito. Era un occasione d'oro. Peccato che la sera della retata non ci fosse un uomo, uno, di Masseria. I camion erano stati dirottati, molto probabilmente dai Maranzano, che a quel tempo si stavano prendendo tutto. Niente retata, niente articolo, niente guadagno. Un'operazione a vuoto. E, come se non bastasse, trovarono pochi giorni dopo il suo informatore sul fondo del mare, al molo di Battery Park. Con tutta probabilità aveva fatto il nome di Jeff, prima di affondare, e così tutti sapevano dell'esistenza di questo giornalista sfigato, completamente solo, con il vizio scomodo di farsi i cazzi degli altri e avvertire gli sbirri.
L'unica soluzione era tornare al Times.
Ben non fu troppo felice di vederlo, dopo il casino che gli aveva combinato. Non si fidava più. Tuttavia avevano lavorato gomito a gomito per dieci anni, prima di quel maledetto servizio e non ce la faceva a lasciarlo sulla strada.
Con una sfilza interminabile di raccomandazioni e compromessi, Jeff riuscì a farsi assumere di nuovo nell'ufficio investigativo del Times, a patto che non prendesse la minima iniziativa e che accettasse incondizionatamente tutti gli ordini impartiti dall'alto. Molto comodo per la testata avere un giornalista  con quella esperienza e quelle competenze da spendere nelle questioni più scomode, senza la minima possibilità di obiezione. Molto comodo anche per Jeff, in fondo. Togliere di mezzo un giornalista del Times è sempre una grana, per di più anche inutile, una volta che gli è stato messo il guinzaglio.
Jeff ripose la cartelletta sulla scrivania e tornò a fissare Ben.
"Così siamo a questo punto, eh?" Sospirò Jeffrey.
Ben accese un sigaro e si rilassò sulla poltrona.
"Siamo a questo punto, pare."
"Ma che significa?"
"Beh... Lo sanno anche i bambini che c'è tensione tra le due famiglie. C'è il rischio che scoppi un casino."
"E' molto più di un rischio."
"Appunto. E la giunta vuole tenere a bada l'opinione pubblica. E cosa c'è di meglio di una tua firma che dichiara che invece va tutto a meraviglia?"
"No, è pazzesco."
"E' saggio, invece, vecchio mio."
"E poi ho perso credibilità per queste cose. Non riuscirete a vendere la notizia."
"Il grande capo non la pensa così. E ubi major..."
"...minor sminkiat."
"Esattamente."
Jeff uscì dall'ufficio un po' confuso. Quella volta non sapeva davvero da dove cominciare.
Il dossier di Ben era ridicolo. Un paio di atti giudiziari dei processi a due scagnozzi di Maranzano. Un po' tanto vago, no? Toccava ritornare in strada a recuperare i vecchi contatti e fare un paio di domande qua e là. Molto più difficile, dopo, sarebbe stato inventare le risposte. E poi c'era qualcosa che non andava e che non sembrava essere di buon auspicio. Niente di che, in realtà. Solo che, nonostante facesse un caldo di inferno, nello stesso istante in cui accettò l'incarico, sentì un brivido ghiacciato percorrergli la spina dorsale. Se ne era accorto bene. Ci saranno stati trenta gradi tutti, ma quella sensazione di freddo in corpo non se ne andava via. Strano Ferragosto, quello.

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